DOLCE E AMARO ALLO STESSO TEMPO, L’ESORDIO ALLA REGIA DI MERYEM BENM’BAREK È TANTO IL RITRATTO DI UNA SOCIETÀ E DELLE SUE STORTURE QUANTO UNA “SEMPLICE” STORIA DI CORAGGIO FEMMINILE.
Sofia, durante un pranzo, ha violenti crampi allo stomaco. La cugina Lena, una studentessa di medicina, decide di visitarla ma proprio in quel momento a Sofia si rompono le acque. Nessuno sapeva della sua gravidanza e, usando come scusa la necessità di recarsi in farmacia, Lena prende l’iniziativa di portare Sofia all’ospedale per partorire. Con l’arrivo del bambino, le due cugine si mettono alla ricerca del padre del bimbo.
«Sofia non è ispirato ad una storia in particolare, ma è l’insieme di tantissime storie che ho letto e ascoltato. Il primo spunto è arrivato dalla storia di un’amica molto vicina a me, e da quel momento in poi ho iniziato ad informarmi, a leggere tantissimi articoli su questo argomento ed ho iniziato a parlare anche con i medici e le ostetriche, e altre persone coinvolte in relazioni clandestine. Il cuore del film non è la storia di una gravidanza fuori dal matrimonio, ma come funziona il sistema di potere, che è rivelatrice di come funziona la società.» (Meryem Benm’Barek)
”Durante una cena in famiglia, la ventenne Sofia avverte dei forti dolori addominali. Sua cugina Lena, studentessa di medicina, capisce che si tratta di una gravidanza negata e cerca di farla partorire in segreto. Perché in Marocco le relazioni sessuali fuori del matrimonio sono punite col carcere. Il parto va a buon fine: ma per Lena, Sofia e la neonata ha inizio una lotta contro il tempo, per trovare il padre della piccola. Che Sofia indica in Omar, giovane dei quartieri poveri di Casablanca. Il soggetto fa subito pensare a un nuovo film sull’oppressione della donna nella società patriarcale. Però l’ottica di Meryem Benm’ Barek, premiata a Cannes per la sceneggiatura, è più complessa. Il suo sguardo si sposta presto sulle ingiustizie e la dittatura delle apparenze nella società marocchina, universo gerarchico dove una vittima (Sofia) può diventare complice e generare altre vittime (Omar).” Da La Repubblica, 14 marzo 2019
“Nella temperie culturale sul ruolo della donna nel mondo islamico, Meryem Benm’Barek esordisce alla regia con un film che scava in profondità sul senso di un cinema che sia politico ed estetico allo stesso tempo, in grado di riflettere sul reale interrogandosi anche sui codici morali e su una società in cui l’ipocrisia è l’unico veicolo di relazione, là dove il ‘vero’ viene invece ripetutamente censurato e nascosto” (Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici Italiani)
“Nessuno è innocente e tutti mettono in luce ipocrisie, bugie e rancori. #Sofia sovverte ogni aspettativa e il risultato è appassionante”. (Piera Detassis, Ciak)
«Meryem Benm’Barek penetra acutamente nella realtà di una società conservatrice che condanna a essere soli e inermi, svelando un quadro familiare da cui emergono rapporti tesi come corde di un violino: mentre la famiglia di lei è propensa alla soluzione di un matrimonio riparatore, quella di lui cerca di evitare l’unione, ma nell’ipocrisia generale si arriverà a un accordo. È una partita a scacchi sostenuta da una tensione sempre palpabile che calibra sapientemente il registro drammatico e ribalta abilmente i ruoli della vittima e del carnefice, divenendo complice di un’inaspettata solidarietà femminile dove spicca un matriarcato che sovverte il pensiero comune di una cultura patriarcale. Questo di Meryem Benm’Barek è un esordio che si farà certamente ricordare.» (Silvia Scarpini, Taxidrivers.it)