Kumail è un aspirante comico di origine pakistana. Emily sta finendo i suoi studi universitari. I due si conoscono dopo uno show di Kumail e da lì, quella che sembrava l’avventura di una sera, si trasforma in una vera e propria relazione. Ma a complicare la loro storia d’amore saranno le aspettative dei genitori musulmani di Kumail e una misteriosa malattia che colpisce Emily. Il ragazzo si troverà così costretto a gestire allo stesso tempo il decorso della malattia di Emily insieme ai genitori di lei, Beth e Terry che lui non ha mai conosciuto prima, e il braccio di ferro emozionale tra la sua famiglia e il suo cuore. Ispirato a una storia vera.
Il trailer del film:
“Non è strano che tutta l’America, partendo dal Sundance, sia impazzita per la commedia romantica ‘The Big Sick’ (…): produce emozioni, risate e pensieri di prima qualità. Perché questa del pachistano che sposa la bionda yankee studentessa di psicanalisi contravvenendo alle radici di due culture, l’islamica e la wasp, è tutta vera: il protagonista, Kumail Nanjiani, racconta la sua vita e nient’altro nel film che ha scritto con la moglie Emily Gordon dopo una vita di gavetta in tv fino al successo di «Silicon Valley» in ruolo nerd. (…) L’originalità del film sta nel fatto che sorridendo parla di verità: il sospetto con cui gli americani guardano gli islamici (e con Trump il peccato è in ascesa) ma anche il contrario, perché in Pakistan sono i genitori a combinare matrimoni. Prima che Kumail sposi la sua bella (è Zoe Kazan, che ha decisamente ereditato qualcosa dal grande nonno, il regista Elia) il film deve far crollare come al bowling i birilli di razzismo, ipocrisia, pregiudizio. E c’è una andata e ritorno sentimentale che prevede anche lo stop mélo in ospedale (anche questo è vero, grave malattia). Il baricentro del film è Kumail che si sente americano ma deve obbedire alla tradizione pachistana e alla fine non è accettato da nessuno dei due Paesi (…). Seguendo la tradizione di decine di love stories inter razziali, il film di Michael Showalter entra nella casa pakistana della mamma chioccia che cerca la nuora del Paese suo, mentre l’altra mamma (la bravissima Holly Hunter, caleidoscopio espressivo) viene col marito dal North Carolina per curare la figlia e scoprire un genero inaspettato. Questo strano rapporto a tre è raccontato con inusuale tenerezza, senza perdere l’humour nelle corsie ma neppure una certa malinconia in saldo. Il miracolo è che da una storia vera al i00% (vera Chicago, vero il locale dove debuttò Bill Murray) viene fuori un film che al 100% rispetta anche le convenzioni del cinema che indovina da anni chi viene a cena. (…) Super happy end, lacrime indù, ok. Ma la forza del film è Kumail, col viso a punto interrogativo, personaggio liberal ma non accomodante, ideale per assorbire le due valenze e violenze del racconto che ha un centro melò ma non rinuncia mai alla battuta: ‘sick’ vuol dire malattia ma anche barzelletta. L’abilità è farne una parola sola.” (Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 11 agosto 2017)
“Ci sono dei film che ti riconciliano con il cinema. Cinema come piacere, come leggerezza, come sorpresa. Forse non saranno capolavori (ma quanti ne vediamo davvero?) eppure sanno restituirti quel gusto e quella soddisfazione per una «pratica» – andare al cinema – che troppe volte è stata umiliata e offesa. E proprio da altri film, pronti a promettere cose che poi non sapevano mantenere. ‘The Big Sick’, invece, non delude, anzi finisce per regalare anche qualche piacevole spunto di riflessione (sull’identità, sulla determinazione, anche sull’amore) e soprattutto la sensazione di non aver sprecato il proprio tempo in un cinema. Come rivelano le fotografie che accompagnano i titoli di coda lo spunto del film, diretto con spirito di servizio da Michael Showalter, è parzialmente autobiografico (…). Temi seri, che però il film affronta con una leggerezza e un’autoironia che conquistano. La storia del film prosegue sfiorando anche la tragedia (…) ma conservando sempre un tono come sospeso, di chi non vuole cedere alle ipotesi più pessimiste e usa il sorriso per smontare il dramma. Che è la chiave della comicità del personaggio Kumail e che in certi momenti sembra una specie di Forrest Gump: non per la mancanza di dubbi e l’ingenuità del personaggio reso celebre da Tom Hanks, ma piuttosto per la testarda fiducia in un ottimismo capace di lenire le ferite e dare ogni volta l’energia per ricominciare. Possibilmente con la voglia di trovare anche una piccola ragione per sorridere.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 15 novembre 2017)