“Un esordio alla regia coraggioso e folgorante, un film necessario, imperdibile”.
Per info e prenotazioni tel: 3393880312.
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Qui il trailer del film.
Trama:
1997. Caterino è uno dei tanti operai che lavorano nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto. Quando i vertici aziendali decido no di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui vogliono liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi, alla ricerca di motivazioni per denunciarli. Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF, dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restare senza svolgere alcuna mansione. Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso in realtà non lo è.
«Tutti i fatti narrati nel film sono frutto di interviste fatte a ex lavoratori ILVA ed ex confinati, e i passaggi finali sono dettagliatamente presi dalle carte processuali che hanno determinato la condanna degli imputati e il risarcimento delle vittime. Questo film vuole essere una sorta di affresco sociale, non vuole raccontare quello che succede oggi a Taranto, ma quello che oggi viviamo è sicuramente frutto del disinteresse di chi nel 1995 ha sacrificato un’intera città sull’altare del proprio capitale.» (Michele Riondino)
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Rassegna stampa:
“Un film dove a fare la differenza sono l’attenzione ai dettagli, e la voglia di mettere il cinema (civile sì, ma anche grottesco e surreale) prima del messaggio, per farlo risuonare meglio.
Da Leonardo Da Vinci a Arthur Conan Doyle, da Charles Bukowski a Giorgio Armani, sull’importanza dei dettagli si sono espressi in tanti, nel corso della storia.
Paul Auster e Stephen King hanno detto qualcosa di molto molto simile, affermando che la verità è nei dettagli.
Dirlo qui significa voler sottolineare come in Palazzina LAF, suo esordio alla regia, Michele Riondino ha avuto l’intelligenza di stare attento anche alle piccole cose, ai particolari.
Uno su tutti, il nome del suo protagonista, Caterino Lamanna: un nome bellissimo, antico e grottesco al tempo stesso, capace di raccontare, da solo, tantissimo sulla persona che lo porta e le vicende di cui è protagonista.
Siamo nel 1997 – a dircelo ci sono le auto, i pandini come le Thema, ma anche Cloris Brosca alla televisione – e Caterino è un operaio dell’ILVA di Taranto. All’ombra dell’ILVA Caterino ha sempre vissuto, letteralmente.
Nel programma della Festa del Cinema di Roma, dove Palazzina LAF è stato presentato in anteprima, per parlare del film sono stati evocati gli spettri dell’Elio Petri di La classe operaia va in Paradiso, e quelli del suo (ma non solo) Gian Maria Volonté. E farlo non è stata affatto una mossa unicamente promozionale e di incentivo al film.
Il parallelo tra Lulù Massa e Caterino Lamanna è chiaro e evidente: solo che per Caterino ogni possibilità di presa di coscienza (di classe, ovviamente, ma non solo) è impossibile. Perché i tempi sono cambiati, e perché Caterino, facendo quello che fa, fa (pensa lui) il bene dell’azienda, l’unico che concepisce, e perché se finisce sul giornale in cronaca giudiziaria, lui, è contento perché è diventato famoso, e già si vede al Maurizio Costanzo Show.
L’analisi politica e antropologica di Riondino mi pare non abbisogni di ulteriori spiegazioni da parte mia.
Se quel che Riondino racconta è giusto e importante, questo non diventa mai per lui un paravento dietro al quale nascondere mancanze, né l’alibi per tralasciare qualcosa che al cinema lo è altrettanto: un’idea di forma, di stile, di genere.
Il modo in cui Riondino gioca col tono di Palazzina LAF, tenendo sempre in equilibrio la commedia e il dramma, il grottesco e il surreale, l’astrazione e la denuncia, è il punto di forza principale del film, e la ragione per cui ciò che gli sta evidentemente a cuore, ovvero il risvolto sociale e politico, riesce a funzionare così bene, senza risultare mai pesante o stucchevole per lo spettatore.
Ancora un volta, il segreto sta nella cura per il dettaglio, che ovviamente non si esaurisce solo nel nome di Caterino Lamanna.
La cura del dettaglio, in Palazzina LAF, la si vede nella scelta dei volti e degli attori, tanto per cominciare: anche per quelli che magari vediamo solo due volte, come nel caso di Paolo Pierobon, ma ovviamente anche in quelli che stanno spesso sullo schermo, da Michele Sinisi a Gianni D’Addario, da Vanessa Scalera a Marina Limosani.
Ma la si vede in un vecchio impianto stereo che mangia le cassette, nel trucco e nel parrucco, nelle cose che vengono dette solo con gli sguardi, nei fiori piantati dentro vecchie scatole di latta.
La si vede nel modo in cui Riondino, dimostrando anche un buon occhio per le inquadrature, racconta, da vicino e da lontano, la fabbrica e una città, le loro mille contraddizioni e l’eredità tossica con cui devono convivere, attraverso le immagini.” Federico Gironi, mymovies.it
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Vi aspettiamo!