Il Piccolo Cineclub Tirreno si trasferisce eccezionalmente a Turuscia (ingresso del parco archeologico di Baratti e Populonia) per una serata speciale – giovedì 18 agosto alle ore 21,15. In prima visione nella provincia di Livorno (e Grosseto) sarà proiettata la versione restaurata di un capolavoro del cinema, “Playtime” di Jacques Tati. La serata è organizzata dall’associazione BACO Baratti Architettura e arte Contemporanea Archivio Vittorio Giorgini, con la collaborazione di Piccolo Cineclub Tirreno e Teatro dell’ Aglio.

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Inarrestabile, Dirompente, Esilarante Jacques Tati torna al cinema!

La serata è organizzata dall’associazione BACO Baratti Architettura e arte Contemporanea Archivio Vittorio Giorgini, con la collaborazione di Piccolo Cineclub Tirreno e Teatro dell’ Aglio.

Giovedì prossimo 18 agosto ore 21.15 vi aspettiamo a Turuscia (ingresso del parco archeologico di Baratti e Populonia)

L’ingresso sarà a offerta libera (da 5 euro)

“Nei miei film non ci sono star, nessuno è importante ma tutti lo sono; tu sei importante come lo sono io. È una democrazia di gag e comici – la personalità delle persone intorno a un’architettura che altre persone hanno disegnato per noi, per vivervi dentro, senza chiederci se eravamo d’accordo o meno. Alla, fine, vinciamo tutti nel senso che ancora ci parliamo l’un l’altro; se qualcosa va storto, siamo ancora compagni, e a qualcuno è ancora permesso essere importante.” Jacques Tati

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PLAYTIME

Ispirandosi ai palazzi in vetro e acciaio costruiti negli anni ’60 e, in particolare, al progetto della Défense nella zona ovest di Parigi, dove, al momento dell’inizio delle riprese, si ergeva una sola torre, PlayTime esamina l’uniformazione dell’architettura. “A che serve viaggiare” chiede implicitamente Tati “se tutte le capitali del mondo ormai si assomigliano? Se all’estero si vedono le stesse cose?”. “L’architettura moderna non è mai stata così bella come in Tati, in Antonioni e, in una certa maniera, in Ozu”. Olivier Assayas

Caldo / Freddo

I contrasti grafici e termici gli permettono di mettere in scena le condizioni di possibilità di una convivialità che la società moderna, secondo lui, tende spesso a dimenticare. Nessuna sorpresa, se natura e colore sono ridotti al minimo indispensabile, relegati all’angolo di un marciapiede, associati a un’anziana fioraia uscita da Per le vie di Parigi di René Clair. Illusione È soprattutto la prospettiva a essere fonte d’illusione della presenza di un altro. È un’illusione acustica, per Hulot, seduto, senza visibilità, alla fine del corridoio interminabile percorso da Giffard; poi illusione ottica nella sala dei riflessi, dove il vetro onnipresente proietta in lontananza, a fianco dei corpi fotografati di segretarie unidimensionali, l’immagine moltiplicata dell’inafferrabile Giffard. Intruso Hulot fa necessariamente la figura dell’intruso. Lo ricevono rinchiudendolo in una sala d’attesa. È messo sotto sorveglianza in una prigione di vetro dove la trasparenza è solo un’illusione, poiché non impedisce affatto di passare inosservati. PlayTime A proposito di PlayTime Tati diceva: “Sarà per sempre il mio film definitivo a causa delle dimensioni della scenografia, rispetto alle persone”. Reificazione dell’uomo Nella prima parte del film, i soggetti fotografati posti sullo sfondo simboleggiano anch’essi questa minaccia di reificazione dell’uomo, poiché i corpi sono soggetti alla ripetizione e all’uniformazione, proprio come le scenografie. Il regista-mimo rappresenta volentieri gli uomini come degli automi. La meccanizzazione dei loro gesti e della loro andatura non è sconnessa da questa architettura che, per Tati, era concepita per rimanere sull’attenti.

Struttura / Movimento

“Quando dicono che PlayTime è privo di struttura” afferma Tati “mi fanno ridere”. “È un po’ come un balletto”. “All’inizio, i movimenti dei personaggi seguono sempre l’architettura. Non fanno mai la minima curva. Vanno e vengono da una linea retta all’altra”. “Più il film avanza” prosegue Tati “più la gente balla e inizia a girare, quasi in tondo”. Tecnica e Libertà (dello spettatore) Se Tati ricorre al 70mm invece che al 35mm, se utilizza quasi esclusivamente dei totali, se rifiuta di costruire la storia su uno schema classico, fatto di tensioni, crisi e nuovi sviluppi o basato sull’identificazione con i personaggi, è anche per rispettare pienamente la libertà degli spettatori. Sono liberi di trarre piacere dove pare loro più opportuno poiché, come scriveva Henri Matisse, “ci sono sempre fiori per chi li vuole vedere”. La principale ambizione di Tati è insegnarci nel tempo di un’opera non è seguita da titoli di coda, a percepire la vita stessa un po’ più di sorrisi e di poesia.

Sinossi: Mentre vaga per i quartieri più avveniristici di Parigi nell’inutile tentativo di rintracciare un impiegato, l’allampanato e compassato Monsieur Hulot si smarrisce in una giungla di architetture moderne, palazzi di vetro e gadget tecnologici, rimanendo “impigliato” in un gruppo di turisti statunitensi fino a rendersi responsabile della distruzione di un ristorante-night appena inaugurato. Alla sua terza apparizione lo stralunato Monsieur Hulot demolisce con nonchalance ogni parvenza logica dei meccanismi del mondo moderno. Premi: Grand Prix de l’académie du cinéma, Paris, 1968; medaglia d’argento, Festival di Mosca, 1969; premio del festival a Vienna, 1969; oscar del cinema svedese, Stoccolma, 1969; premio Kunniarkirja, Finlandia, 1969. Note di restauro: Il restauro dell’immagine è stato possibile grazie alla collaborazione di due laboratori: il francese Arane-Gulliver e L’Immagine Ritrovata di Bologna. Il materiale utilizzato è un interpositivo 65mm, stampato nel 2002 dal negativo originale 65mm. Il laboratorio Arane-Gulliver ha scansito la pellicola e comparando tutti gli elementi originali ha supervisionato la posa luci. L’Immagine Ritrovata ha eseguito il restauro digitale realizzando un master HD e le copie digitali. Fortemente voluto da Jérôme Deschamps e Macha Makeïeff, che nel 2001 hanno acquistato i diritti dei film di Tati, in accordo con Sophie Tatischeff, figlia del regista, il restauro di PlayTime si è reso necessario per salvare i negativi originali già in pessimo stato a causa di processi scadenti di ristampa (dovuti probabilmente al crollo finanziario del regista dopo l’iniziale flop ai botteghini e le spese esorbitanti per l’enorme set Tativille) i quali hanno arrecato danni irreparabili alle copie esistenti. Per questo, salvare il negativo originale di PlayTime dal deterioramento altresì irreversibile è diventato essenziale. A parte il restauro tecnico, il film è stato rielaborato anche a un livello artistico. Aggiungendo elementi del montaggio originali riscoperti solo recentemente. Quando PlayTime ebbe la sua seconda uscita nel 1978, Tati, che nel frattempo era caduto in una pressante crisi economica, fu obbligato a fare numerosi tagli per un maggior successo commerciale, tagli che ridussero drasticamente la durata del film. Ad oggi questa è l’unica versione rimasta di PlayTime e va detto che fu anche l’unica di cui il regista non si sentì mai soddisfatto. Il recupero della versione integrale, l’unica approvata veramente da Jacques Tati, è stata possibile grazie agli scarti che sono stati conservati fino ad ora. Anche l’audio utilizzato risale alla versione del 1978, l’ultimo in ordine di tempo, rivisto da Tati. Le parti tagliate, nella riedizione del 1978, sono state reintegrate con i materiali originali del 1968. La colonna sonora di PlayTime, in puro stile Tati, obbedisce a una sua propria logica, molto distante dalle regole del sonoro cinematografico. Il dialogo è raramente il centro d’attenzione e frequentemente si confonde o si sovrappone ad altri suoni. Tanto quanto la scenografia, il suono delle macchine, le luci al neon e l’ambiente in generale, contribuiscono a creare la città dentro e fuori lo schermo, senza preoccupazione di realismo e creando un universo unico. Molte gag sono basate sulla sonorità e possono durare anche alcuni minuti, evidenziando come il sonoro sia un aspetto primario fin dalla scrittura del film.

“PlayTime non assomiglia a nulla che già esista al cinema. È un film che viene da un altro pianeta, dove i film si girano in maniera diversa. Forse PlayTime è l’Europa del 1968 filmata dal primo cineasta marziano, dal ‘loro’ Louis Lumière? Lui vede quello che noi non vediamo più, sente quello che noi non sentiamo più, gira come noi non facciamo.”

François Truffaut

Una clip del film

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