Venerdì 9 Maggio proietteremo in prima visione a Follonica il film vincitore dell’ultima edizione degli Emmy Awards, “Dietro i candelabri” diretto da Steven Sodebergh e interpretato dagli straordinari Micheal Douglas e Matt Damon

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All’origine del film c’è, per esplicita ammissione del regista, il divertimento provato anni prima (probabilmente durante le riprese di Traffic) di fronte a un’imitazione di Liberace improvvisata da Michael Douglas. Oggi il nome di Wladziu Valentino Liberace può dire poco (anche se Lady Gaga lo cita nella sua canzone «Dance in the Dark») ma negli anni Cinquanta e Sessanta questo pianista nato da padre italiano e madre polacca era l’artista americano con i più alti cachet del mondo. La sua eccezionale abilità sulla tastiera unita a un’immagine sfacciatamente kitsch ne avevano fatto un’icona nazionale: entrava in scena con improbabili pellicce foderate di strass, sul pianoforte voleva un candelabro di Boemia (che diceva di aver «rubato» dal film L’eterna armonia di Charles Vidor, sulla vita di Chopin) ed era talmente sicuro del suo fascino — soprattutto sul pubblico femminile di mezz’età—da non cercare neppure di mascherare i suoi vezzi omosessuali. Che negava in pubblico mentre li col t i vava in privato.

Comprensibile che potesse diventare l’oggetto di qualche divertita imitazione. E altrettanto comprensibile che Soderbergh pensasse di poterne trarre un film divertente — da fare e da vedere—soprattutto dopo che Michael Douglas (la cui sessualità nessuno poteva mettere in dubbio) aveva accettato di interpretarlo. Ma se durante la sua vita Liberace (che morì nel 1987, a 67 anni, per complicazioni dovute all’Aids) aveva difeso la sua omosessualità perché difficile da far accettare al grande pubblico, venticinque anni dopo la sua morte quel tema continuava a essere più o meno tabù, specialmente per le grandi case di distribuzione hollywoodiane. Nonostante il nome di Douglas, e quello di Matt Damon per la parte del suo amante Scott Thorson, nessuna major voleva investire i cinque milioni di dollari che mancavano al regista per chiudere una produzione di ventitré (più o meno la metà del costo di una commedia a Hollywood). Così alla fine il film ha potuto farsi solo perché il canale tv Hbo è entrato nel progetto.

E mi piace pensare che questi prolegomeni abbiano finito per influire sul film, che non a caso unisce il piacere della recitazione alla riflessione sulla società dello spettacolo e le sue regole non scritte. Al centro del film il legame che per cinque anni unì il musicista a Scott, un aspirante veterinario che ammaestrava animali da usare nei film: non un biopic tradizionale, ma piuttosto un viaggio dietro le quinte (Behind the Candelabra dice il titolo originale, che per l’Italia è diventato plurale, anche se sul pianoforte ce n’era sempre uno solo) che racconta la «doppia» vita di Liberace, in bilico tra una «libertà» che prendeva forma dentro le mura di casa e la «maschera» che indossava in scena.

In questo gioco tra pubblico e privato, Douglas e Damon offrono una prova davvero eccezionale: i personaggi e l’ambiente potevano spingere verso troppo facili caratterizzazioni al limite della macchietta, ma entrambi (che pure non risparmiano pose e atteggiamenti volutamente kitsch) sanno restituire anche la verità di due vite schiacciate dalle convenzioni sociali di un’America ancora molto puritana. Mentre la sceneggiatura di Richard LaGravenese inquadra (e spiega) i loro comportamenti all’interno di un mondo dove le leggi dell’apparire stanno diventando sempre più dittatoriali.

Non è solo l’omosessualità che va nascosta, anche il passare dell’età e il decadimento fisico iniziano a diventare peccati che non si possono perdonare. E al film bastano poche scene e pochi, emblematici personaggi (il chirurgo plastico interpretato da Rob Lowe, l’agente di Dan Aykroyd, la madre di una irriconoscibile Debbie Reynolds: tutti straordinari!) per restituire l’avidità — metaforica e insieme concretissima — di un mondo che non vuole accettare personaggi meno che «perfetti ». Nel successo e nella forma.

Così, dietro le pellicce e i candelabri, l’eccentricità e l’ostentazione, prende forma un mondo che non accetta tradimenti, dove i soldi scandiscono ogni cosa, dai contratti di lavoro ai rapporti umani, in nome di un’apparenza che non può mai essere incrinata o messa in discussione.

E che solo l’ineluttabilità della malattia e della morte (non a caso si cita la fine di Rock Hudson) sembra alla fine capace di scardinare. E un film che era cominciato come un viaggio spensierato (e divertente) dentro l’eccentricità diventa alla fine il ritratto di un mondo infelice e malinconico, oltre che lo specchio di un cinema che sembra risplendere di mille luci ma che alla fine non può che rivelare quanto di falso (e di doloroso) nasconda. Il che, per un regista come Soderbergh che ha deciso di prendersi una lunga pausa di riposo dall’attività cinematografica, non può essere che il più perfetto degli epitaffi.

Paolo Mereghetti

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